Intervista Impossibile - Pirandello

“Je me sens drôle. (elle se tâte) ça ne vous fait pas cet effet-là, à vous : quand je ne me vois pas, j’ai beau me tâter, je me demande si j’existe pour de vrai. […] Il y a six grandes glaces dans ma chambre à coucher. Je les vois. Je les vois. Mais elles ne me voient pas. Elles reflètent la causeuse, le tapis, la fenêtre…comme c’est vide, une glace où je ne suis pas. Quand je parlais, je m’arrangeais pour qu’il y en ait une où je puisse me regarder. Je parlais, je me voyais parler. Je me voyais comme les gens me voyaient, ça me tenait éveillée.”

Sartre, Huis Clos, 1944

Sono le 14.17 di un mercoledì feriale, e Via del Corso è un formicaio brulicante di vita. Ad animarlo non è solo il febbricitante andirivieni dei turisti che rimbalzano tra il Vittoriano e l’Obelisco Flaminio di Piazza del Popolo ma anche il ronzìo di commessi e semplici cittadini che approfittano della pausa pranzo, chi per mangiare un boccone, chi per acquisti impulsivi. 
Sofia Varnera è una tra le centomila anime perse nella corrente, ma a differenza degli altri, lei, non scorre. E non scorrono nemmeno i due uomini che la accompagnano. Tutti e tre resistono al flusso reggendosi a qualcosa: uno ha in spalla una telecamera di medie dimensioni, l’altro regge quello che sembra uno scomodo palo con un buffo spolverino in punta, Sofia, invece, un microfono spento. È una giornalista. Questo dice il suo curriculum, che però è stato rimaneggiato infinite volte e letto da pochissimi occhi, fino a pochi giorni prima. Questa, infatti, è la sua grande occasione. Ha bussato così tante volte alla porta della redazione che alla fine, la Direttrice, una donna consumata dalle nevrosi, ha ceduto per sfinimento. 
“Va bene Sofia. Portami qualcosa e vedremo se mandarlo in onda. Che ne so, trova un trend su Tiktok, uno scandalo sulle pellicce vere, vecchi che si lamentano. Dai, vai che ho da fare.” E se ne era andata camminando - male - su dodici centimetri di tacchi.

Così, oggi, Sofia è a pesca del suo futuro. I due ragazzi che la accompagnano sono un suo amico del centro sperimentale di cinematografia e suo cugino che le doveva un favore. 
Anni di liceo, poi di università, anni di sogni di gloria per questo momento. 
E una paura paralizzante di non essere all’altezza. 
Ha passato le ultime 36 ore a studiare tutti gli argomenti “in tendenza”: influencer che si sono lasciati, il ritorno della frangetta, lo scandalo per dei versi di Dante sotto un nuovo balletto su Tiktok, gli incendi a Hollywood. E di questo ha parlato, fino ad ora. Proprio come qualcuno che non sa cosa sta cercando, ha fermato chiunque riuscisse a fermare e raccolto diverse interviste: comitive di ragazzine, coppie di fidanzati, qualche indie con il cappotto. 
“Possiamo andare?” Luis, suo cugino, si appoggia all’asta del boom pole che stava tenendo.
Sofia si sistema i capelli biondi, in piega per l’occasione, e si guarda nervosamente attorno, filtrando centinaia di facce al secondo. 
“Non ancora.” 
“Dai Sofi, ti prego siamo qui dalle 10. Mi sta cascando la spalla. Penso che almeno sulla roba della frangetta dovremmo avere abbastanza girato.” Francesco detto Frankie riguarda rapidamente alcuni video dallo schermo interno della telecamera. 
Ma Sofia li ignora entrambi. 
Ha le orecchie annoiate. 
Gli occhi stanchi. 
Nulla di ciò che ha registrato le ha mosso nulla. Anzi. 
Ed è allora che lo vede. 
O meglio, si accorge di essere vista. 
Un signore distinto, sulla settantina, vestito in abiti grigi con un cappello in stile Borsalino calato sulla fronte è appoggiato con la schiena al muro accanto alla Casa museo di Goethe. Ha un pizzetto bianco ben curato, che si smuove appena quando, in quello scambio di sguardi, genera un sorriso educato.

A colpire Sofia non è il fatto di essere vista. Ha impiegato circa 3 ore quella mattina per sortire quell’effetto e attrarre così più falene possibili al proprio microfono. A colpirla è il modo in cui, senza sapersi spiegare come, lui sembri guardarle attraverso. E così, tutto quello che lo circonda. 
I due ragazzi sembrano accorgersi di lui nello stesso momento. Uno dà di gomito all’altro. 
“E quello? Hai rimorchiato un pezzo d’antiquariato Sofi!”
“Venite.” Dice perentoria agli altri due, quasi senza controllare che la seguano realmente.

Avvicinandosi all’uomo sente il peso del suo sguardo. Distende un sorriso, raddrizza la postura, si schiarisce la gola. Lui rimane immobile ma continua a ricambiare cortesemente il sorriso.

“Mi scusi…” Accenna lei, tenendo il microfono basso e spento vicino al corpo.

“No, mi scusi lei, Signorina. Non volevo sembrare inopportuno, mi ricordava molto qualcuno del mio passato.” 
Parla con una voce bassa, che doveva essere stata molto cristallina ai suoi tempi, ed ora suona solo un po’ impolverata dall’età.

“Non deve. Non lo è stato, anzi. Forse potrei esserlo io chiedendole se posso farle qualche domanda.”
L’uomo forse nota il nervosismo malcelato dietro il fondotinta di Sofia, forse no.

“Non sono molto bravo con le risposte. Ma sì, certamente. Non vado di fretta.”
Il cuore di Sofia batte senza una spiegazione. Annuisce grata e scambia uno sguardo eccitato ai suoi due aiutanti che con un cenno le fanno capire di essere pronti. Luis tiene sospeso il deadcat - gatto morto - sopra il Borsalino dell’uomo, Frankie fa partire la registrazione. Un respiro e Sofia accende il suo microfono. 
“Io sono Sofia Varnera e queste sono le Interviste rubate. Siamo qui con…?”
“Luigi Pirandello.”

“Signor Pirandello, grazie per aver accettato questa intervista. Lei è di qui?”
L’uomo sorride appena un po’ di più, mascherando un certo divertimento. “ Non proprio, ma forse in qualche modo lo sono diventato.” Poi ci riflette un attimo di più. Solleva il mento, perdendosi da qualche parte nel tempo. “Ho iniziato i miei giorni ad Agrigento, vicino ad un bosco di nome Càvusu, una storpiatura dialettale del greco “Kaos”. Quindi forse solo Roma poteva essere il posto perfetto dove spendere quelli che mi restano.”

Sofia sorride di quel cupo umorismo. 
“Eppure Mi sembra un uomo straordinariamente elegante per essere figlio del Caos.”

“Sì? E come dovrei essere, secondo lei?” 
Improvvisamente si trova ad arrossire, colta in fallo.

“Non intendevo questo, volevo dire…”
Lui ride piano, pacifico. “Lo so, lo so. La ringrazio, voleva essere un complimento il suo.”
“E come ci è arrivato da Agrigento a Roma?” 
“Probabilmente seguendo il Caos, appunto, e gli studi. La vita e le sue fortissime correnti mi hanno sbattuto un po’ qui, un po’ lì. Palermo, la Germania, Roma…”
“La Germania? E cosa faceva in Germania?”
“Studiavo, scrivevo. È lì che ho conosciuto una ragazza che le assomigliava molto.”
“Un suo grande amore?” 
“Chissà, forse l’unico. Forse l’unico amore che si può avere è quello di quando si hanno vent’anni, quando non ci si fanno troppe domande.”

Luis e Frankie si scambiano un’occhiata perplessa. Forse anche Sofia a questo punto sa che non potrà usare nulla di questa intervista, eppure non riesce a fermare la sua fame. 
“E poi?”

“Poi diventa una trappola.”

“Una trappola per chi?” 
“Per chiunque lei voglia essere, mia cara.”

Lascia sedimentare quello scambio, assottigliano lo sguardo. 
“Non crede di essere troppo pessimista?”
“Mi piacerebbe molto esserlo. Ma temo che la vita mi abbia insegnato che questa sia l’unica realtà che abbiamo. Prenda lei, per esempio. Io ho visto in lei i miei ricordi, quando sono sicuro che, se le facessi vedere un ritratto di Jenny, lei non solo non riconoscerebbe nulla di sé in quell’immagine, ma forse ne sarebbe persino offesa. Potrebbe, addirittura, finire con il chiedere conferma ai suoi amici, perché se davvero somigliasse a Jenny sorgerebbe in lei il pensiero che forse non si è mai realmente vista come la vede il resto del mondo.” 
Segue un attimo di silenzio.

“Sofi..” La voce di Frankie è un bisbiglio dietro le sue spalle, la risveglia dai suoi pensieri.
“Continuiamo.” Ribatte lei, leggermente più dura, quasi a voler ringhiare ai due dietro le sue spalle. “Ma, Signor Pirandello, se fosse come dice, non potremmo che essere noi stessi in una stanza vuota. Una vita, vuota.”

“Ma saremmo sicuri di essere in vita, a quel punto?” Replica lui, con la prontezza di chi quelle domande se le è già poste infinite volte, e con la punta di un sorriso sornione. “Non io, ma Sartre diceva che è lo sguardo altrui a rivelarci in quanto oggetti esistenti. Allo stesso modo, però, è lo sguardo altrui a distruggere ciò che siamo.” 
“E allora confermo quanto ho detto prima. La sua è una visione estremamente pessimista della vita.”

“Eppure, a primo impatto, non le sono sembrato un pessimista. No?”

“No…” aggrotta le sopracciglia, appresso a un pensiero. “In realtà, per qualche motivo, nemmeno adesso mi dà questa impressione.”

“Impressioni. Non sono forse che fotografie di superfici che cambiano a seconda dei punti dai quali vengono scattate? I suoi amici prima hanno riso di me. Forse mi avranno trovato buffo, qui da solo, vestito elegante alla mia età. Forse non è rispettabile. Forse avranno creduto che la guardavo perché avevo cattive intenzioni. Ma già ora, con quello che sanno, potrebbero sentire in cuor loro qualcosa di diverso. Guai se sapessero che la donna che poi ho sposato ha combattuto contro di me e contro la propria mente tutta la vita, finché non sono stato io a doverla rinchiudere in un istituto. O che uno dei nostri figli è stato prima imprigionato all’estero, e poi rispedito a casa, masticato dalla guerra. E ancora non sanno come in tutto questo io abbia continuato a scrivere per cercare di capirlo, questo mondo che pone solo domande.” Qui sorride. “L’avevo avvisata, infatti, che non avrei avuto risposte da darle.”

Sofia è senza fiato.

“…ma ho qualcosa di meglio, forse. Ricordatele come le parole di un pazzo: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi – come io guardavo un giorno certi occhi – potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell’altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca.” 



Se voleva sentire, ora Sofia ha sentito anche più di quanto potesse reggere. “Io.. io credo di doverla ringraziare per il suo tempo. È stato davvero gentile a concederci questa intervista.”

Lui si limita ad un cenno del capo, sfiora il suo cappello, e si avvia verso piazza del Popolo, abbandonandosi al flusso magmatico che vi confluisce.
I tre si allontanano in silenzio, dopo aver rimesso a posto l’attrezzatura. 
Silenziosamente un sorriso appare sul volto dei ragazzi: sanno che non potranno usare quel girato. Alla Direttrice porteranno il pezzo sulle frangette. Eppure nessuno riuscirà a non pensare, con ammirazione e tenerezza a quell’uomo romanticamente appoggiato al muro, che rivedeva in Sofia il ricordo di una felicità sfuggita nel tempo.

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Il ragazzo lupo