Katrina

Guardami. Lasciati guardare. Dio quanto sei bella. Guarda come sorridi, guarda il modo impreciso con cui le tue labbra si arrampicano verso la guancia sinistra e si tuffano in quella singola fossetta dimenticata lì come un’arma, solo per uccidermi. Vuoi uccidermi? Hai fatto una piccola pausa nel tuo lungo discorso, vai avanti da un po’ parlando di quanto studio ci sia dietro ai tuoi soggetti, della fatica di una fama che ti è arrivata addosso come una tempesta. E tu lo sei, Katrina, sei tempesta e ne porti persino il nome. E non ti accorgi di come il vento che ti è rimasto addosso rada al suolo le anime di chi ti incontra, così che ci sia solo un prima e un dopo averti conosciuta. Per me è così. Sono diventata macerie, per te. Ma non lo dico, non ti dico quanto tu sia stata stronza, con me, come mi hai fatta soffrire. Figurati, non interromperei mai la tua voce. Mi sta accompagnando nei miei pensieri come una canzone, Edith Piaf su un giradischi, e va bene così. Lasciati guardare. Nella realtà sei come nei tuoi post su Instagram, non sei finta, come le altre. Non hai filtri che mascherino l’oscenità delle tue occhiaie - la notte cosa fai, quando non dormi? -, la superficie irregolare della tua pelle bianca, bianca e basta. Niente strani colori col trucco, perché hai una pelle elegante. La sento profumare da qui, dall’altro lato di questo piccolo tavolino. Il tuo odore si stacca dalla tua pelle a ondate e si infrange su di me in una marea tiepida. Sai di magia. Mi incanti di note di vaniglia, di bergamotto e di qualcosa di pungente, marcio, che gli altri non notano, ma io si. Lo fai apposta, vero? Io ti conosco. Spero solo che non ti accorga di quanto sono emozionata. Devi sapere che ti sto ascoltando. Non hai bisogno di nessuno che dia valore alle tue scelte Katrina, ma i tuoi occhi dicono il contrario. Cerchi una mia conferma. Hai fatto una pausa nel tuo monologo che serve a me per annuire, dirti un certo da far colare con serietà in questo silenzio, come ceralacca, e che certifichi che hai fatto bene a lasciare gli studi, trasferirti da fuori, tagliare i ponti con la famiglia che non capisce - e come potrebbe, è un’altra generazione -. Prendo tempo, afferrando il bicchiere di gin tonic fra le dita - vetro temperato, spesso, ricco di intarsi - gli faccio fare una lenta piroetta su sé stesso, e la luce della sala danza di riflessi prismatici sulla tovaglia bianca. Ti ho incantata?

“Certo.” dico, finalmente. Le mie pupille su di te. Hai sorriso di nuovo, sembra quasi sollievo. Quanto sei fragile, Kat. Ti seguo da quando avevi poche centinaia di follower. Era facile per me, lì, starti vicina. Essere una sconosciuta confortante sotto ciascuno dei tuoi post. Un commento, un like. Già da allora avevo capito che saresti stata mia. Avevo deciso che mi sarei umiliata in questo balletto di attenzioni, solo per te. Poi, lo scorso Maggio, un video in cui dipingi è diventato “Virale”. Tu sei diventata “Virale”. Come non mi piace questo termine, come è sporco, non ti si addice. Tu non sei un virus Katrina, sei la cura. Sei la cura per questa società noiosa e vuota. E sono stata felice che il mondo ti vedesse per la prima volta, davvero. Non credere sia stata gelosa. Io sono stata felice per te: i tuoi follower sono diventati migliaia, poi centinaia di migliaia. Mi hai reso la vita più difficile, certo. Ho dovuto iniziare ad aspettarti online nei momenti più solitari della notte per cercare di contattarti, per sperare che leggessi i miei messaggi privati. Lo hai fatto. La fama ha portato con sé tanti mostri, è vero? La paura di cadere, adesso che sei così in alto. La solitudine. Ma ci sono stata io. Ci sono io, con te, adesso, così vicina che la tua voce io la respiro. Poggio il peso in avanti, sui miei gomiti, scaricandoli sul tavolino e mangiandomi pochi centimetri di distanza. Tu hai ripreso a raccontare da un po’ quando decidi di farmi di nuovo male. Perché lo fai Katrina? Ti sei messa a parlare del tuo fidanzato. Un povero scemo che ti ha vista solo dopo che hai superato i 50k e che ti usa come vetrina per aumentare i suoi follower, i suoi sponsor. Lo so che tu non lo vedi, adesso. Ti sei illusa che quello sia amore, ma io so che è solamente solitudine. Non ti preoccupare. Sono qui per questo. 
“Che lavoro avresti voluto fare, quando eri piccola?” Chiedo, osservando distrattamente il tovagliolo sul tavolo e facendo per portarmelo in grembo, sopra una piccola borsetta di velluto nero. Tu smetti di parlare di quell’idiota e torni a perderti nei ricordi. Come fai a non accorgerti che anche il tuo viso si rilassa, se non parli di lui? Volevi fare la veterinaria. Ti piacevano gli animali più strani. Certo, questo è da te. Non smettere. Continua a parlare. Apro lentamente la borsetta e senza perdermi un solo istante della tua bellezza, estraggo il tuo regalo. Sarai così felice.

Rido, lo faccio con un movimento naturale, che non ti insospettisca. Sei così sagace e brillante, ma ogni tanto ti distrai a parlare di te. Lo trovo carino e ora, utile. Non sto fingendo Katrina, sappilo. Scusami se adesso dovrò ingannarti. Solo un istante. Come quando si strappa un cerotto, poi andrà tutto meglio. Smetto di ridere e fisso seria dietro le tue spalle. Penso ci sia un fotografo, dico. Tu ti giri, ingenuamente, ancora spaventata da queste situazioni. Ti senti invasa, lo capisco, ma tra poco sarai libera, non ti preoccupare. Allungo il tuo regalo sopra il tuo bicchiere di gin tonic. Basteranno due gocce. Quando torni a guardarmi io sono il tuo porto sicuro. Faccio un cenno della testa per dirti di non pensarci più, ai fotografi, alla fama. Non esisteranno più, dove stiamo andando. Sollevo il mio bicchiere verso di te, e con esso la proposta di un brindisi. "Dimenticali Wendy, dimenticali tutti. Vieni con me dove non dovrai mai, mai più pensare alle cose dei grandi.” Tu ridi, sei felice, adesso, di nuovo distesa. Non ti accorgi di come tremo di attesa al contatto gelido dei nostri bicchieri. Non mi importa del sapore del gin che stringe la lingua, si lega alla saliva, sto pregustando altro.

Le tue labbra perfette sul vetro. 
Due gocce di libertà che sapore hanno?

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